Proprio questa mattina Giusi Marchetta, la scrittrice e insegnante che molti conoscono per i suoi libri e che, se già non ne siete al corrente, dovreste conoscere per il progetto Il tavolo delle ragazze, mi ha messo sotto gli occhi la poesia Bassa marea di Eugenio Montale, tratta dalle Occasioni del 1939. Una poesia sulla fuga del tempo, uno dei temi privilegiati del libro, soprattutto delle poesie del periodo 1927-1933, quello più ungarettiano.
Questa poesia me ne ha fatta venire in mente un’altra, da me particolarmente amata, Bagni di Lucca, uscita sullo stesso numero dell’«Italia letteraria», il 5 febbraio 1933, e poi collocata, all’interno del libro del 1939, distante da Bassa marea, vicino a Cave d’autunno (datata 1931) e a Altro effetto di luna (1932), con le quali forma una specie di trittico paesaggistico, uno diurno e gli altri notturni.
BAGNI DI LUCCA
Fra il tonfo dei marroni
e il gemito del torrente
che uniscono i loro suoni
èsita il cuore.Precoce inverno, che borea
abbrividisce. M’affaccio
sul ciglio che scioglie l’albore
del giorno nel ghiaccio.Marmi, rameggi –
e ad uno scrollo giù
foglie a èlice, a freccia,
nel fossato.Passa l’ultima greggia nella nebbia
del suo fiato.
Dopo la scena d’idillio dei primi quattro versi, dove il tempo è fermo, sospeso nel suo corso, la seconda strofa si apre con l’arrivo del freddo vento di tramontana, qui indicato con parola desueta e classicheggiante (dantesca anche), che rende la stagione gelida, forse anticipandola (Winter is coming…). L’atmosfera è resa astratta dall’assenza degli articoli, di un verbo, del pronome, che compare di seguito a introdurre la prima persona singolare. L’immagine dell’alba invernale si manifesta con una luminosità fredda e scialba, dai contorni nitidi («che stempera la scialba luce invernale nella trasparenza del ghiaccio», secondo Montale commentatore di sé stesso, ma solo l’autore può dire così a colpo sicuro).
Come in un quadro impressionista, il ciglio del torrente diluisce la luce dell’alba (il colore) nell’acqua ghiacciata. Può giovare il confronto con una poesia di Ungaretti, Lido, uscita sulla rivista «Commerce» nel 1925, che attacca così: «L’algore dissuade l’aspetto | Di gracili arbusti sul ciglio | D’insidiosi bisbigli». Oltre ai richiami fonici (algore, albore, con tutte le conseguenze rimiche, le consonanze) e le somiglianze ritmiche del piede trisillabo, identico è il motivo del freddo, non semplice parte del paesaggio né simbolo, ma motore di entrambe le poesie e unico filo a tenere insieme, dentro il medesimo campo semantico, tutti gli elementi. Facile il passaggio da algore a borea, parole sovrapponibili per suono e rarità preziosa; il ciglio porta con sé bisbigli e scioglie. All’inizio della terza strofa, alle notazioni impressioniste (i marmi delle Apuane e i ramaggi/ramages come ben nota il commentatore Dante Isella, che alle venature del marmo assomigliano) si aggiunge, come un inserto, l’azione dello scrollo, che dà movimento alla scena, togliendo l’aura metafisica (in senso pittorico) e rendendo il tutto più marcatamente e oggettivamente simbolico. Poi Montale costruisce un gioco di rimandi sonori che accende la poesia: freccia va a riprendere ghiaccio (dunque affaccio) e rameggi, infine nebbia. Conclude la poesia l’immagine – e il suono – della greggia, con una preziosa rima interna con rameggi, che getta un ponte verso il componimento successivo, Cave d’autunno, che chiude proprio con un gregge, «la ciurma luminosa che ci saccheggia», a sua volta strettamente allacciato alla chiusa di Bassa marea:
Una mandria lunare sopraggiunge
poi sui colli, invisibile, e li bruca.