Domani, ultimo giorno di settembre, darò avvio a un corso di Didattica della letteratura italiana all’Università degli Studi di Siena. Fare il professore a contratto è ormai una consuetudine, ma da moltissimi anni non mi capitava di dover insegnare nei corsi di laurea, in questo caso della laurea magistrale, dove si tengono lezioni propriamente accademiche, che non sono rivolte, come nelle Scuole di Specializzazione, nei TFA e nei PAS, a insegnanti che sono in procinto di andare a lavorare o che già lavorano. Se quest’ultime attività, infatti, sono di fatto dei corsi di formazione professionale post laurea, la laurea magistrale è a tutti gli effetti un percorso accademico, che può condurre all’insegnamento, certo, ma che deve anche garantire innanzitutto una preparazione scientifica e culturale che consenta di prendere consapevolezza del valore e del significato degli strumenti di una disciplina. Mi preparo alla prima lezione leggendo e rileggendo, prendendo appunti. Ho già riempito alcune borse di libri. Sarà un percorso lungo e impegnativo e avrei voluto iniziarlo scrivendo qualcosa di specifico, ma la scuola è già iniziata e la prossima settimana si terrà la settima edizione del convegno Le storie siamo noi. Ci sono ancora molte cose da fare, il tempo è poco e a volte sembra di non avere ancora molto da dire. Per questo sono particolarmente felice di iniziare il corso: sarà l’occasione per guardare in faccia persone che non conosco, molto più giovani di me, capaci di fare nuove domande e di sollecitare risposte che finora non ho mai pensato. Intanto, per ricordarmi da dove sono partito, ripubblico un articolo che ho scritto nel 2013 e che ancora esprime efficacemente i motivi che mi spingono a tirare avanti con questo lavoro. Si intitola La letteratura come esperienza sociale ed è uscito sulla rivista «La ricerca».
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