In prossimità della prima prova di italiano dell’esame di Stato suggerisco la lettura di una poesia di Amelia Rosselli, accompagnata da alcune note e riflessioni e seguita da un esercizio per chi vuole prepararsi all’esame.
Amelia Rosselli (1930-1996) è uno dei poeti più originali del Novecento. Nata a Parigi da Carlo Rosselli, ucciso dai fascisti nel 1937, e da madre inglese, con cui fugge, dopo la morte del padre, prima a Londra, poi a Montréal, a New York e di nuovo a Londra, Amalia ha avuto una formazione trilingue e cosmopolita, compiendo studi irregolari di letteratura, filosofia e musica. Arrivata in Italia nel 1948, si è stabilita a Roma, dove ha lavorato come traduttrice, consulente editoriale e saggista. Con il suo saggio intitolato Spazi metrici, scritto nel 1962, ha dato un contributo fondamentale alla riflessione teorica sulla metrica della poesia contemporanea, per la quale Rosselli rappresenta un importante punto di riferimento. I suoi libri di poesia sono Variazioni belliche (1964), Serie ospedaliera (1969), Documento (1976) e, in lingua inglese, Sleep (1992), tradotto in italiano dal poeta Antonio Porta. Tormentata da una malattia nervosa, da allucinazioni uditive e da una forma di mania di persecuzione, è morta suicida nel 1996 a Roma.
La poesia che ho scelto, che conclude il libro Variazioni belliche (1964), si basa sulla variazione di alcune serie di parole che si ripetono e sviluppano a partire dalla frase iniziale «Tutto il mondo è vedovo». Le ripetizioni e i ritorni ciclici degli stessi frammenti di frasi, di parole e di suoni rendono il testo ossessivo e quasi disperato, come se l’autrice avesse urgenza di dire qualcosa di fondamentale. Tuttavia, il testo rimane in certi passi oscuro e ricco di contraddizioni logiche.
Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora
tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo
è vero se è vero che tu cammini ancora, tutto il
mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo
è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo
una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi
dalla tua nascita e l’importanza del nuovo giorno
non è che notte per la tua distanza. Cieca sono
ché tu cammini ancora! cieca sono che tu cammini
e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini
ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.
Avete letto e riletto? Per accompagnare la comprensione possiamo cominciare porci alcune domande e a servirci del vocabolario. Intanto, cosa significa esattamente che il mondo è «vedovo»? Prima risposta: che è stato privato di una persona necessaria, la cui mancanza costituisce un danno ed è motivo di dolore. Ma qui si dice che il mondo è vedovo «se è vero che tu cammini ancora» e «se tu non muori»! Non è l’assenza, ma la presenza dell’altro (il «tu»), a essere portatrice di assenza e di buio.
Sappiamo che la frase che dà origine al componimento – «Tutto il mondo è vedovo» — rinvia a un sonetto di William Shakespeare: «The world will be thy widow…» (il mondo sarà la tua vedova…), nel quale il poeta rimprovera il suo amato, un uomo celibe, accusandolo di non volersi sposare e lasciare traccia di sé nei propri figli, privando così il mondo della sua bellezza. Rosselli prende spunto dalle parole di Shakespeare, dal loro suono e ritmo, per capovolgerne il significato, poiché in questa poesia il mondo è vedovo non in assenza della persona amata, bensì, al contrario, in sua presenza (v. 1 «se è vero che tu cammini ancora» o v. 4 «se tu non muori»). A questo primo paradosso di un mondo vedovo per una non morte, seguono poi altri paradossi che scaturiscono da associazioni di idee e da variazioni continue, che danno vita a una concezione dell’amore assolutamente originale.
Dobbiamo poi prendere in considerazione il fatto che uno dei tratti più sperimentali e innovativi della poesia di Amelia Rosselli consiste nell’invenzione di un sistema metrico basato sullo spazio della pagina e non sull’andamento ritmico o sulla quantità di sillabe del verso. Rosselli vuole uscire dalla poesia versoliberista, ritenuta fondamentalmente egocentrica, visto che con il verso libero le forme della tradizione sono piegate alle esigenze espressive dell’io. Per smorzare questo egocentrismo, dunque, Rosselli cerca una nuova regolarità, nuove forme in grado di comprimere e costringere l’io, rendendo il dettato poetico più realistico e oggettivo.
Come molti altri poeti del periodo, impegnati nella riflessione sulla propria poetica e sugli strumenti formali impiegati, anche Rosselli sente il bisogno di coniugare teoria e pratica e per questo conclude il libro Variazioni belliche con uno scrittore teorico intitolato Spazi metrici, nel quale spiega la sua idea di metrica “spaziale”, legata alla forma visibile del testo – dattiloscritto, cioè scritto con la macchina da scrivere – sulla pagina. In pratica, la scrittrice va avanti con il verso fino a quando, con la sua macchina da scrivere, non arriva a ottenere la lunghezza desiderata, che insieme agli altri versi va a comporre una forma (per esempio un quadrato). Se la lunghezza del verso è un fenomeno che riguarda esclusivamente l’occhio, l’andamento ritmico viene assicurato attraverso la ripetizione di formule sintattiche, di frasi o di parole chiave, che Rosselli chiama «parole-idea» (qui, per esempio, «Tutto il mondo è…», «vedovo», «vero», cieca»). Alla forma quadrata della poesia, che costituisce la gabbia metrica, Rosselli aggiunge una terza dimensione, la profondità, che è data dall’energia dell’espressione linguistica, dall’impulso corporeo e logico della scrittura. Grazie a questa profondità, Rosselli parla di una «forma-cubo», una definizione che ben si adatta a questa poesia.
Un esercizio di scrittura argomentativa
«La poesia di Amelia Rosselli è oscura eppure chiarissima. Certo, bisogna abituarvisi, come quando si entra da fuori in una stanza buia. All’inizio avanziamo cautamente, abbiamo paura di farci male, urtiamo negli spigoli, imprechiamo. Ma poi diventiamo come i gatti che vedono anche nelle tenebre. Come loro impariamo a sviluppare sensi normalmente inerti, latenti» (Biancamaria Frabotta, Elogio del fuoco, in Quartetto per masse e voce sola, Roma, Donzelli, 2009).
Queste parole, pronunciate dalla poetessa e critica Biancamaria Frabotta (1946-2022) nel 1996, in occasione del funerale di Amelia Rosselli, forniscono una chiave per affrontare la lettura della sua poesia e, in generale, per dare un senso alla lettura della poesia, un’esperienza difficile, forse rara e tuttavia forte, potente e gratificante. Rifletti su questo argomento, ricorrendo anche ad altri autori e autrici presenti in questo libro e facendo riferimento alle tue conoscenze, alle tue esperienze personali, alla tua sensibilità. Articola la struttura della tua riflessione in paragrafi opportunamente titolati e presenta la trattazione con un titolo complessivo che ne esprima in una sintesi coerente il contenuto.