Lo scorso anno scrissi una lettera aperta alla Fondazione Bertarelli. La ripropongo qui di seguito dopo aver avuto occasione di assistere, ieri, a uno dei concerti dell’Amiata Piano Festival.
Ho sempre pensato che l’opera d’arte più importante per la Maremma fosse il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, una delle produzioni artistiche più riuscite del secolo scorso, calata in mezzo alla macchia mediterranea di Capalbio, al confine tra Toscana e Lazio.
È l’unico luogo che riesco a paragonare al pur diversissimo eremo dei Giurisdavidici, sul Monte Labro, che della Maremma dovrebbe essere il simbolo più diffuso, poiché riesce a coniugare la povertà delle risorse con la forza delle idee, l’asprezza dell’ambiente con la bellezza selvaggia della natura, lo spirito di un popolo pacifico con la violenza barbara della borghesia clericale. Sono questi, d’altronde, i luoghi preferiti dagli stranieri che ancora oggi scoprono quest’angolo d’Italia.
Oggi ritengo importante aggiungere ad essi un terzo elemento, meno visibile dei precedenti perché riservato soprattutto all’ascolto. Non si tratta di un luogo, non solo. Potremmo definirlo un progetto, se la parola non fosse logorata dall’uso. È un’opera che si costruisce nel tempo, in divenire, composta di tante esperienze che si succedono da molti anni e che, si spera, continueranno a lungo.
Il progetto si chiama Amiata Piano Festival, ed è una rassegna di concerti musicali che da molti anni si tiene nella zona di Sasso d’Ombrone, nel comune di Cinigiano. Fino allo scorso anno i concerti si svolgevano nelle cantine dei viticoltori della zona, nella cappella della tenuta di Monte Cucco e in altri spazi individuati dagli organizzatori. Iniziata da una pluralità di persone di diversa provenienza, gradualmente la manifestazione è stata ricondotta ad un’unica guida: il pianista Maurizio Baglini, direttore artistico del festival designato dalla Fondazione Bertarelli. E da quest’anno, per iniziativa della Fondazione, i concerti si tengono in una sala da concerto edificata per l’occasione su progetto dell’architetto Edoardo Milesi, già autore del convento di Siloe e della cantina di Colle Massari.
Non è facile esprimere l’emozione suscitata da questo connubio di grande architettura e musica d’eccezione. Tutto, a partire dal costo modesto del biglietto, sembra concorrere in modo intenzionale al benessere delle persone. Senza inutili snobismi. Con grande rispetto anche per chi ancora non sembra pronto a partecipare, in silenzio, al rito laico dell’ascolto.
Dopo tanti anni di partecipazione attenta ritengo opportuno esprimere pubblicamente una profonda gratitudine a coloro che hanno voluto quest’opera e l’hanno resa possibile. Hanno fatto un grande lavoro. Complimenti a tutti.