Per alcuni anni mi sono occupato della formazione di professionisti del settore socio-sanitario: assistenti sociali, logopediste, fisioterapiste. Solitamente venivo chiamato per lavorare sulla scrittura delle cartelle cliniche o delle relazioni tecniche, ma era facile sfociare poi in un lavoro più ampio, dai contorni più sfumati e di sicuro più interessante, almeno per me che ero e sono ancora affascinato dalla funzione sociale e cognitiva delle storie nella vita quotidiana.
Ragionavamo degli effetti della scrittura sul lettore, com’è ovvio, aggiungendo ai tradizionali strumenti di analisi della retorica e della semiologia qualche elemento di sociologia e psicologia della narrazione. E poi ci trovavamo a riflettere sull’impatto della scrittura su chi scrive. È quello che Win Wenders definisce, per la fotografia, il “contraccolpo”.
Fotografare – scrive Wenders – è, infatti, un atto bidirezionale in avanti e all’indietro. Certo si procede anche “all’indietro”. Il paragone non è poi stravagante. Come il cacciatore appoggia il suo fucile, mira alla selvaggina davanti a lui e, quando parte il proiettile, viene spinto indietro dal contraccolpo, così anche il fotografo viene ri-sospinto verso sé stesso premendo il dispositivo dello scatto. Una fotografia è un’immagine duplice: mostra il suo oggetto e – più o meno visibile – “dietro”, il “controscatto”: l’immagine che lui fotografa al momento della ripresa.
Scrivere, dicevamo, è un atto bi-direzionale, proprio come fotografare. Io – assistente sociale, fisioterapista, insegnante o anche giudice – sto scrivendo una relazione che ha un effetto sulla vita di un’altra persona, ma che ha un effetto anche sulla mia, sul mio stesso modo di pensare, sulla mia visione del mondo. Io credo di scrivere “sulla pelle degli altri”, ma sto scrivendo anche sulla mia.
Poi, grazie a una collaborazione tra il settore Ricerca e Sviluppo dell’associazione L’Altra Città e il consorzio Coeso di Grosseto (consorzio di comuni per la gestione dei servizi socio-sanitari), ho cominciato a occuparmi più approfonditamente del problema della percezione sociale del lavoro e in particolare di quello dell’assistente sociale (un argomento su cui esistono utilissimi studi e strumenti allestiti da Elena Allegri e dai suoi collaboratori).
Lavorando con gli assistenti sociali dell’area grossetana, poi, mi sono ritrovato a riflettere sulla necessità di dotarli di strumenti utili a gestire meglio il proprio ruolo, soggetto più di molti altri all’influenza nefasta di tante “narrazioni tossiche” (i ladri di bambini, i fannulloni!…). Da quell’esperienza è nato un piccolo manuale di sopravvivenza che nelle scorse settimane è stato pubblicato dall’editore Pacini e dalla SDS – Società della Salute dell’area sociosanitaria grossetana. Il manuale è diviso in tre parti:
- Il potere delle storie (laddove spiego alcuni principi di storytelling, il rapporto tra pensiero e linguaggio, i concetti di frame e di metafora).
- Storie da cui difendersi, contronarrazioni e storie per orientarsi (le narrazioni tossiche dell’assistente sociale e le contronarrazioni possibili).
- Contronarrazioni ed esercizi narrativi (27 schede con esercizi, giochi di scrittura e suggerimenti pratici).
Per chi fosse interessato al libro e alla serie tv può navigare il sito del progetto Aiutanti di mestiere.