La lettura ad alta voce
Negli ultimi due anni ho lavorato assiduamente alla diffusione della lettura ad alta voce. Mi ero occupato di questo argomento una quindicina di anni fa, quando avevo deciso di aprire il manuale di scrittura e lettura creativa intitolato Narrazione e invenzione (scritto a sei mani insieme a Federico Batini e Gabriel Del Sarto) con il capitolo “Ad alta voce”. Avevo aderito già da qualche anno al progetto “Nati per leggere”, ero all’epoca un padre-lettore e avevo già avuto modo, proprio grazie a Federico Batini, che aveva già messo a punto un metodo di orientamento con approccio narrativo, di comprendere lo straordinario potere cognitivo delle storie. Mi capitò anche di fare dei corsi di formazione per educatrici e maestre di scuola dell’infanzia di Bastia Umbra e di Foligno. Poi più nulla per molti anni. Ho continuato a leggere ad alta voce per i figli, per gli studenti e anche per quei docenti che frequentavano i miei corsi (che si aprivano quasi sempre con la condivisione di una storia), ma non ho approfondito gli studi sull’argomento, limitandomi a leggere i libri dell’amico Federico.
Le storie – questo mi sembrava di aver capito all’epoca – hanno bisogno della voce (e dei corpi) degli adulti per diventare moneta di scambio tra le bambine e i bambini ancora non alfabetizzati. Perché non intensificare quell’attività, quindi, per aumentare le possibilità di tutte e di tutti e per diminuire lo svantaggio iniziale che ancora danneggia coloro che non possono contare su un ambiente familiare adatto allo sviluppo di un vocabolario ricco e variegato?
Non avevo ancora chiaro quel che poi ho capito lavorando all’iniziativa Leggere: Forte! della Regione Toscana, con il gruppo di lavoro coordinato proprio dal prof Batini attraverso la sua cattedra di Pedagogia sperimentale dell’Università di Perugia. E adesso sono convinto, grazie anche a una discreta messe di dati confortanti, che la lettura ad alta voce, se praticata in maniera intensiva e continuativa per l’intero percorso di educazione e istruzione, sia in grado di dare un contributo fondamentale alla realizzazione di quanto previsto dall’articolo 3 della Costituzione: «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Una comunità di pratiche narrative
Un adulto tiene in mano un oggetto, il libro, dal quale attinge significati e suoni che diventano oggetto di uno scambio, una transazione. Il bambino o la bambina piange oppure ride, vocalizza, ma a un certo punto qualcosa accade e si mette in attesa, guarda e ascolta, e con un segnale dà inizio al dialogo. A questo punto si verifica una curiosa situazione comunicativa, in cui il protagonista assoluto della scena è la voce – da considerarsi materia viva e consistente, fonè, respiro secondo l’etimologia greca – che scaturisce dal corpo: la voce è respiro che suona tra le corde vocali e inciampa, rallenta la sua corsa nella bocca, tra il palato, i denti e le labbra in movimento. È la voce ad attribuire un significato al libro, che altro non è che un mediatore inanimato, un oggetto che non avrebbe senso senza competenze di lettura e che invece diventa una scatola magica piena di suoni e di calore. Anche i corpi si dispongono intorno al libro. Sono situati in un tempo e uno spazio precisi e tuttavia sono anche altrove, in un mondo narrato che prende forma grazie alla memoria e all’immaginazione di ciascuno. Ricorrendo all’efficace metafora di Nancie Atwell, leggere significa entrare nella zona di lettura. È una situazione strana, per cui chi legge e chi ascolta finisce per condividere ben due esperienze, una nel mondo empirico e un’altra, mediata dalla storia e simulata a livello neurale, nel mondo narrato.
È così che una comunità prende forma e si costituisce, creando e rafforzando legami di fiducia e sviluppando una cultura condivisa. Una comunità di interlocutori e di interlocutrici che mettono in comune storie.
I libri, la letteratura
Ormai sono convinto che la didattica della letteratura cominci con la lettura ad alta voce nei servizi educativi per la prima infanzia. Una didattica apparentemente semplice, facile da praticare, e tuttavia raffinata, poiché basata interamente sulla relazione e, quindi, sulla capacità di leggere e interpretare le situazioni, di reagire prontamente ai cambiamenti e, soprattutto, di fornire stimoli sufficienti a consentire la partecipazione di tutte e di tutti.
Leggere ad alta voce, soprattutto, è una pratica di condivisione che si fonda sulla scelta di storie, ovvero di libri. Quali libri? Ovviamente i migliori: quelli più efficaci per quella persona o per quel gruppo di persone, che grazie alla mediazione delle storie narrate possono arricchire il proprio vocabolario e sviluppare le proprie capacità cognitive. E chi li sceglie? Ovviamente chi è responsabile del processo educativo e poi di istruzione: l’insegnante, che deve essere in grado di scovare, procedendo per tentativi ed errori, le storie che funzionano tra le migliaia e migliaia disponibili in lingua italiana e non solo, visto che oggi disponiamo anche di meravigliosi silent book.
I libri, una volta mi ha detto Marielle Macé in un’intervista, sono “più forti di me”, di noi, di ciascun lettore e ciascuna lettrice.
Gli scrittori che cito li scelgo perché sono appunto più forti di me, perché spostano il mio pensiero, perché dicono cose che avrei voluto poter dire io, ma loro lo dicono meglio e ne dicono di più. La letteratura è una risorsa anche in questo senso: mentre leggo, il testo è il mio alleato, ma è il mio alleato in tutta la sua difficoltà, in tutta la sua alterità e questo fa sì che io debba fare uno sforzo nei suoi confronti. Una risorsa quindi, ma una risorsa da tradurre, da raggiungere, alla quale fare posto al proprio interno.
Ecco da dove deriva la forza straordinaria della lettura e, anche, della lettura ad alta voce! Le parole che usiamo non sono le nostre, e se vogliamo ricorrere al loro aiuto dobbiamo tradurle, riscriverle, incorporarle, inscriverle nella nostra vita.
Non si tratta di andare a pescare a colpo sicuro nella biblioteca dei classici, in una specifica tradizione – sempre rappresentativa di un altrettanto specifica civiltà, di una cultura – o in un autorevole manuale, ma di cercare che cosa possa funzionare come letteratura all’interno della nostra comunità. Quali sono le storie, e anche i canti – le poesie –, che possono coinvolgere attivamente bambine e bambini, ragazze e ragazzi, donne e uomini del gruppo a cui appartengo, dell’aula di cui sono responsabile? E quali sono le pratiche, gli ambienti e i comportamenti che favoriscono l’attivazione delle risorse cognitive delle persone che vogliamo coinvolgere? È meglio stare in piedi o seduti? E seduti dove, e come? È preferibile una lettura dialogata? È utile vedere le immagini, toccare il libro, e poi disegnare, scrivere, riscrivere?
Sono tante le tecniche, le strategie, i metodi sperimentati e altrettanti quelli ancora in corso di elaborazione. E ancora di più sono i libri – le opere – che hanno già consentito di fare esperienze estetiche a milioni di persone. A volte ho l’impressione che sia ancora tutto da fare, e che tutto sia a portata di mano.