Ieri si è tenuto a Firenze un convegno dedicato alla dispersione scolastica. Ho partecipato per tenere un laboratorio dedicato all’uso della letteratura nella scuola secondaria, nel tentativo di sostenere la necessità di modificare alcune pratiche di insegnamento e di introdurre nuove attività didattiche.
Attivare i testi
Nella scuola secondaria si è abituati a studiare la letteratura, cioè a leggere alcuni testi allo scopo di acquisire conoscenze e capacità relative al funzionamento dei testi, alla vita degli autori, alla storia della letteratura e dell’arte in generale. Lo scopo della pratica della lettura può essere finalizzato – nell’ultima parte del percorso di istruzione secondaria – alla costruzione di competenze linguistiche più o meno avanzate, che possono spingersi fino all’interpretazione di testi complessi e polisemici calati nel loro contesto storico. Non possiamo poi nascondere che la narrazione storica della letteratura e dei suoi “monumenti” (gli autori e le loro opere) può avere la funzione più o meno dichiarata di costruire dei valori che richiamano all’identità nazionale o, più genericamente, al senso di appartenenza a una determinata comunità.
Le opere letterarie, però, se osservate con lo sguardo del lettore comune – come ha proposto Tzvetan Todorov nel suo libro La letteratura in pericolo, – ovvero di quel lettore che legge per fare un’esperienza estetica, possono anche essere usate come dei “simulatori di volo”. In questo caso occorre guardare alla lettura come atto concreto, psicologicamente e storicamente situato, che coinvolge la mente e il corpo del lettore, il quale, metaforicamente, è stimolato dalle opere stesse ad andare ad abitare le storie narrate, ad assumere i punti di vista di narratori e personaggi, ad imitarne le azioni e, quindi, a provare autentiche emozioni. Non si tratta di rinnegare quel che ci hanno insegnato gli studi letterari, che ci hanno abituati a coltivare un’idea di lettura ristretta al testo, alla catena di enunciati che lo compongono, come se il testo fosse un oggetto simile a un quadro posto sotto gli occhi del lettore, o a uno spartito da suonare, il quale non cambia a ogni nuovo sguardo o ad ogni nuova esecuzione. Si tratta semmai di allargare lo sguardo e con esso i confini del nostro sapere, includendo nel nostro orizzonte il lettore concreto, i cui atti di lettura devono essere intesi come dei fenomeni unici e irripetibili, che richiedono la partecipazione attiva del lettore e che per questo sono in grado di produrre cambiamenti significativi nel suo mondo, nella sua cultura, perfino nel suo corpo.
Lo sanno i lettori forti, quelli che provano un bisogno quasi fisico di procurarsi un nuovo romanzo in cui immergersi: leggere è pericoloso, è destabilizzante, influenza la vita, le conferisce uno stile, traccia un percorso, una direzione. Conosco persone la cui vita è stata sconvolta dalla lettura di un libro. È il caso degli scrittori, certo, e anche molti studiosi e docenti di lettere, che a un certo della loro esistenza hanno incontrato un libro, probabilmente un romanzo, o un saggio, una raccolta di poesie che ha orientato la loro vita, indirizzandola verso un obiettivo, un metodo, un lavoro. Ed è il caso di coloro che, come Don Chisciotte o Madame Bovary, modellano la loro vita – i desideri, le ambizioni, i comportamenti – su schemi di storia assimilati attraverso la lettura delle opere più o meno grandi o memorabili della letteratura.
Ha dichiarato Marielle Macé, autrice del libro La lettura nella vita (modi di leggere, modi di essere), che “non possiamo ripulire l’esperienza della lettura della sua parte alienata, oppure, al contrario, ripulirla della sua libertà. Siamo continuamente presi in un corpo a corpo con dei modelli”. La lettura non è un’attività separata dalla vita o in concorrenza con essa; essa è semmai uno di quei comportamenti attraverso i quali le persone danno una forma, un gusto e uno stile alla loro esistenza.
Forti di questa consapevolezza e delle conoscenze messe a disposizione dalla psicologia culturale, dalla sociologia della vita quotidiana e dalla linguistica cognitiva, oggi possiamo scegliere di assegnare alla letteratura e alle opere un ruolo educativo fin dai primi anni di vita, prima ancora che i bambini sappiano leggere e scrivere, grazie alla lettura ad alta voce. E possiamo usare le risorse della lettura anche al di fuori dell’insegnamento della letteratura, con la finalità dichiarata di contribuire alla costruzione di life skills o di competenze chiave di cittadinanza, trasversali alle discipline e ai contesti di vita.
La condizione necessaria ad un insegnamento con la letteratura, basato sulla fruizione di opere letterarie con la finalità di favorire apprendimenti extraletterari, è l’attivazione delle opere, le quali devono interagire con i lettori – gli apprendenti – al fine di mettere in opera alcune risorse cognitive ed emotive comuni, che sono già a sua disposizione e che devono essere mobilitate e combinate in modo particolare.
Pratiche didattiche
La proposta del laboratorio si basa su tre attività tra loro strettamente correlate, che tra loro combinate dovrebbero essere in grado di costruire percorsi di didattica orientativa basati sulla fruizione di opere letterarie e sull’esercizio di alcune competenze tipiche del lettore:
1. la lettura ad alta voce e la narrazione orale;
2. la scrittura creativa;
3. la condivisione di storie.
Tutte queste pratiche si basano sul presupposto che l’insegnante sia in grado essere un interlocutore affidabile, cioè che riesca a far circolare liberamente le storie all’interno della comunità degli alunni, i quali devono mettere a disposizione le proprie risorse cognitive, culturali ed emotive senza opporre resistenza. È l’insegnante, infatti, l’interlocutore che si presenta davanti agli alunni in veste di narratore per condividere una storia (l’opera da leggere insieme), e che poi deve far sì che gli alunni producano a loro volte delle storie da mettere in comune con i compagni. Da molti anni si discute delle competenze sociali degli insegnanti, e dell’ascolto come strumento di lavoro fondamentale per l’insegnamento, confondendo a volte i compiti del consulente con quelli del docente. In questo caso la capacità di ascolto perde ogni sfumatura terapeutica per divenire esclusivamente uno strumento di lavoro utile a creare il clima adeguato. Consapevoli dell’importanza della comunicazione narrativa e dell’impatto che essa può avere sulle persone, sul loro sistema di valori e sulla concezione di sé e del mondo, i pedagogisti narrativi insistono sulla capacità, da parte dell’educatore, di creare un clima di rispetto del pudore ed eventualmente di gestire le crisi che possono essere causate dalle storie. Per questo dobbiamo riconoscere alla lettura di testi narrativi un significato che va ben al di là dei processi di comprensione. Essa è un’esperienza emotiva, cognitiva e sociale che merita un’adeguata preparazione del set educativo e la condivisione di regole di comportamento che tutti – a partire dall’insegnante – devono rispettare.
Gli strumenti
Durante il laboratorio propongo alcuni strumenti elaborati insieme a Federico Batini per gli alunni a rischio dispersione. Si tratta di tre antologie di narrativa pubblicate da Loescher editore (2013):
– Non so che fare – Storie per le scelte
– Non mi importa di voi – Storie per le competenze di cittadinanza
– Non mi vedo – Storie per diventare se stessi
I libri raccolgono una scelta di brevi brani narrativi o poetici selezionati sulla base delle azioni che i personaggi svolgono all’interno della storia narrata.
I brani sono introdotti da un breve racconto utile a contestualizzare la storia e sono seguiti da un esercizio che richiede di simulare, ampliandola e adeguandola al proprio contesto, l’esperienza simulata nel brano. Non sono volutamente presenti note di commento, né sono fornite informazioni sull’autore dell’opera o sull’opera stessa, in modo tale che la pagina sia ingombrata solo dal testo che si vuole condividere.
Ciascun esercizio fa riferimento al testo che lo precede e richiede l’uso della scrittura. Per questo il libro funziona come un quaderno sul quale ciascun studente dovrebbe svolgere le attività, in modo da poterle in seguito condividere con il gruppo. In questo modo il libro diventa anche una sorta di portfolio in cui sono raccolti i risultati del lavoro svolto.
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