Ho iniziato l’anno scolastico immergendomi in alcuni corsi di formazione per insegnanti. In una settimana ho incontrato e frequentato assiduamente un centinaio di docenti di italiano, di inglese, di francese, di spagnolo, di arte, di musica (e perfino di economia aziendale) delle scuole primarie e secondarie: tutti intenti a cercare di capire cosa stia accadendo agli alunni che dovranno affrontare già dalla prossima settimana, tutti impegnati nella ricerca di metodi, di strumenti e di consigli che possano in qualche modo aiutarli a fronteggiare il nuovo anno scolastico.
Da questi ed altri incontri (ne ricordo alcuni virtuali, avvenuti sul gruppo Facebook di Italian Writing Teachers), oltre che dalla lettura del fondamentale libro Perché le storie ci aiutano a vivere di Michele Cometa, è rinato in me l’interesse per alcune proposte che ho elaborato tra il 2005 e il 2010, che hanno trovato una loro prima formalizzazione nel libro Insegnare con la letteratura (2011), e che poi ho in parte trascurato per dedicarmi ad altri studi, ad altri interessi. Provo qui di seguito a sintetizzare alcune delle idee che sto riprendendo e sviluppando in questo periodo.
Comincio con il constatare che nella scuola secondaria si è abituati a studiare la letteratura e a leggere una scelta di opere letterarie allo scopo di acquisire conoscenze e capacità relative al funzionamento dei testi, alla vita degli autori, alla storia della letteratura e dell’arte in generale. Lo scopo della pratica della lettura può essere finalizzato – nell’ultima parte del percorso di istruzione secondaria – alla costruzione di competenze linguistiche e culturali più o meno avanzate, che possono spingersi fino all’interpretazione di testi complessi e polisemici calati nel loro contesto storico. Non possiamo poi nascondere che la narrazione storica della letteratura e dei suoi “monumenti” (gli autori e le loro opere) può avere la funzione più o meno dichiarata di costruire dei valori che richiamano all’identità nazionale o, più genericamente, al senso di appartenenza a una determinata comunità.
Le opere letterarie, però, se osservate con lo sguardo del lettore comune – come ha proposto Tzvetan Todorov nel suo libro La letteratura in pericolo, – ovvero di quel lettore che legge per fare un’esperienza estetica, possono anche essere usate come dei “simulatori di volo”. In questo caso occorre guardare alla lettura come atto concreto, psicologicamente e storicamente situato, che coinvolge la mente e il corpo del lettore, il quale, metaforicamente, è stimolato dalle opere stesse ad andare ad abitare le storie narrate, ad assumere i punti di vista di narratori e personaggi, ad imitarne le azioni e, quindi, a provare autentiche emozioni. Non si tratta di rinnegare quel che ci hanno insegnato gli studi letterari, che ci hanno abituati a coltivare un’idea di lettura ristretta al testo, alla catena di enunciati che lo compongono, come se il testo fosse un oggetto simile a un quadro posto sotto gli occhi del lettore, o a uno spartito da suonare, il quale non cambia a ogni nuovo sguardo o ad ogni nuova esecuzione. Si tratta semmai di allargare lo sguardo e con esso i confini del nostro sapere, includendo nel nostro orizzonte il lettore concreto, i cui atti di lettura devono essere intesi come dei fenomeni unici e irripetibili, che richiedono la partecipazione attiva del lettore e che per questo sono in grado di produrre cambiamenti significativi nel suo mondo, nella sua cultura, perfino nel suo corpo.
Lo sanno i lettori forti, quelli che provano un bisogno quasi fisico di procurarsi un nuovo romanzo in cui immergersi: leggere è pericoloso, è destabilizzante, influenza la vita, le conferisce uno stile, traccia un percorso, una direzione. Conosco persone la cui vita è stata sconvolta dalla lettura di un libro. È il caso degli scrittori, certo, e anche molti studiosi e docenti di lettere, che a un certo della loro esistenza hanno incontrato un libro, probabilmente un romanzo, o un saggio, una raccolta di poesie che ha orientato la loro vita, indirizzandola verso un obiettivo, un metodo, un lavoro. Ed è il caso di coloro che, come Don Chisciotte o Madame Bovary, modellano la loro vita – i desideri, le ambizioni, i comportamenti – su schemi di storia assimilati attraverso la lettura delle opere più o meno grandi o memorabili della letteratura.
Ha dichiarato Marielle Macé, autrice del libro La lettura nella vita (modi di leggere, modi di essere), che “non possiamo ripulire l’esperienza della lettura della sua parte alienata, oppure, al contrario, ripulirla della sua libertà. Siamo continuamente presi in un corpo a corpo con dei modelli”. La lettura non è un’attività separata dalla vita o in concorrenza con essa; essa è semmai uno di quei comportamenti attraverso i quali le persone danno una forma, un gusto e uno stile alla loro esistenza.
Forti di questa consapevolezza e delle conoscenze messe a disposizione dalla psicologia culturale, dalla sociologia della vita quotidiana e dalla linguistica cognitiva, oggi possiamo scegliere di assegnare alla letteratura e alle opere un ruolo educativo fin dai primi anni di vita, prima ancora che i bambini sappiano leggere e scrivere, grazie alla lettura ad alta voce. E possiamo usare le risorse della lettura anche al di fuori dell’insegnamento della letteratura, con la finalità dichiarata di contribuire alla costruzione di life skills o di competenze chiave di cittadinanza, trasversali alle discipline e ai contesti di vita.
La condizione necessaria a un insegnamento con la letteratura, basato sulla fruizione di opere letterarie con la finalità di favorire apprendimenti extraletterari, è l’attivazione delle opere, le quali devono interagire con i lettori – gli apprendenti – al fine di mettere in azione alcune risorse cognitive ed emotive comuni, che sono già a loro disposizione e che devono essere mobilitate e combinate in modo particolare.
Per questo mi piace proporre attività didattiche si basano su tre pilastri:
- la lettura in comune delle opere;
- la “riscrittura” delle opere (esercizi a partire dal testo);
- la condivisione dei testi prodotti dagli studenti.
Queste pratiche si basano sul presupposto che l’insegnante sia in grado essere un interlocutore affidabile (espressione rubata a Paolo Jedlowski), cioè che riesca a far circolare liberamente le storie all’interno della comunità degli alunni, i quali devono mettere a disposizione le proprie risorse cognitive, culturali ed emotive senza opporre resistenza. È l’insegnante, infatti, l’interlocutore che si presenta davanti agli alunni in veste di narratore per condividere una storia (l’opera da leggere insieme), e che poi deve far sì che gli alunni producano a loro volte delle storie da mettere in comune con i compagni. Da molti anni si discute delle competenze sociali degli insegnanti, e dell’ascolto come strumento di lavoro fondamentale per l’insegnamento, confondendo a volte i compiti del consulente con quelli del docente. In questo caso la capacità di ascolto perde ogni sfumatura terapeutica per divenire esclusivamente uno strumento di lavoro utile a creare il clima adeguato. Consapevoli dell’importanza della comunicazione narrativa e dell’impatto che essa può avere sulle persone, sul loro sistema di valori e sulla concezione di sé e del mondo, i pedagogisti narrativi insistono sulla capacità, da parte dell’educatore, di creare un clima di rispetto del pudore ed eventualmente di gestire le crisi che possono essere causate dalle storie. Per questo dobbiamo riconoscere alla lettura di testi narrativi un significato che va ben al di là dei processi di comprensione. Essa è un’esperienza emotiva, cognitiva e sociale che merita un’adeguata preparazione del set educativo e la condivisione di regole di comportamento che tutti – a partire dall’insegnante – devono rispettare.