Dovete proprio leggerlo questo romanzo che sembra scritto per farmi piangere e arrabbiare. Già a partire dal titolo – Domani interrogo – io mi ero scandalizzato. Ecco un altro racconto di scuola autoreferenziale, pensavo, con la scrittrice-insegnante che narra in prima persona. Certo, ce ne sono di riuscitissimi – L’iguana non vuole di Giusi Marchetta lo avete già letto? – ma cosa ci sarà di nuovo da raccontare ormai? E infatti non ci sono grandi novità. Anzi, sembra proprio di stare negli anni Novanta e anche prima, ai tempi della scuola di Starnone e di Onofri, con tutto il repertorio di interrogazioni più o meno programmate, lezioni di letteratura, compiti in classe ed esami, e poi gli studenti insolenti, lo spaccio, i rapporti di potere, l’amore. Entrare nel mondo narrato di questo romanzo, per me, per uno della mia età che ha fatto l’insegnante per diciott’anni ed è stato studente negli anni Ottanta, è un’esperienza in qualche modo devastante: ma davvero non è cambiato proprio niente? La scuola è ancora questo? È davvero questa la scuola? Sarà mai possibile cambiarla davvero?
Leggendo, quindi, mi sono arrabbiato, e poi ho riso molto, mi sono commosso e alla fine ho pensato che fosse necessario condividere subito l’esperienza con colleghe e colleghi, con i figli e con tutte le persone che oggi vogliono occuparsi più o meno professionalmente di scuola. Leggetelo, non perché in questa storia ci siano modelli positivi o episodi pedagogicamente esemplari, ma perché è un dispositivo straordinariamente efficace, capace di trasportarvi in un universo narrativo compatto e spietato, perfetto direi, in cui si entra all’inizio di un qualsiasi anno scolastico seguendo le tracce di una professoressa di lingua e letteratura inglese di una classe quinta di un liceo romano di periferia, e si esce solo a esami di Stato conclusi, con la cena di fine anno.
La voce narrante è attribuita alla scuola, un narratore onnisciente in grado di muoversi in lungo e in largo nel tempo, anticipando il futuro degli studenti (mai della professoressa, l’unico personaggio destinato a rimanere schiacciato nel suo eterno presente). La classe è l’ambientazione principale, il teatro degli avvenimenti, ma è anche un personaggio collettivo, da cui di volta in volta si staccano i singoli protagonisti, le cui voci emergono per poi immediatamente venire riassorbite dal coro. È difficile, una volta finita la prima lettura, dimenticare i volti e le posture della docente e di ogni studente, il carattere, lo stile, le idiosincrasie (e solo per questa qualità, da attribuire a una scrittura attentissima, ricca di sfumature e di particolari, varrebbe la pena immergersi subito nella lettura).
Ma quel più mi piace è che la scuola, rappresentata in tutta la sua vuota e claustrofobica ritualità, – che fa pensare alla società messa in scena da Joyce nei Dubliners e rivelata dalla festa di Natale dei Morti, il racconto più volte evocato nel corso del romanzo – per quanto assomigli a quella di decine di altri romanzi, e anche ad alcune scuole che abbiamo frequentato, appare unica e originale, mai retorica o sentimentale (nonostante le intemperanze dei personaggi, le loro passioni, le reazioni sempre esagerate di una professoressa “sconfinata”, priva di limiti e barriere), una scuola-personaggio priva di nome ma dall’identità precisa, consapevole di sé, attenta osservatrice degli incontri che cambiano la vita dei suoi abitanti, garantendone in qualche modo la salvezza nel mondo là fuori, in cui verranno inevitabilmente gettati.
Gaja Cenciarelli, Domani interrogo, Marsilio 2022.