Alla fine della Grande Guerra, quando il diciassettenne Piero Gobetti (1901-1926) entra nell’agone dell’editoria militante, mancano punti di riferimento saldi per chi voglia occuparsi di traduzione, sia che voglia imparare a tradurre, sia che desideri acquisire strumenti concettuali utili a riflettere sull’attività traduttiva e a interpretare i testi tradotti. Tuttavia, convinto che la pratica traduttoria abbia un ruolo fondamentale nella cultura d’un paese, fin dal 1919 Gobetti affronta il problema filosofico della traducibilità allo scopo di giustificare e trovare un terreno solido alla critica della traduzione, un esercizio necessario allo sviluppo del pensiero e della civiltà in un paese moderno. Interessato all’attività traduttoria nella sua interezza e complessità, dalla funzione socio-culturale (il progetto editoriale) alla prassi linguistico-stilistica (è egli stesso traduttore e fine lettore dello stile), dall’analisi critica alla riflessione estetica, nel breve giro di tre anni scrive alcune recensioni, articoli e note editoriali – accompagnate da un fitto carteggio con Ada Prospero – che oggi appaiono una lettura irrinunciabile per chi voglia ricostruire il quadro della riflessione sulla traduzione letteraria in Italia. […]
Per il diciassettenne Piero, destinato a diventare, nello stretto giro di anni che lo separano dalla morte prematura, uno dei più importanti editori e intellettuali del suo tempo, l’interesse per la traduzione è correlato indissolubilmente all’attività editoriale intesa come progetto culturale (si parla, in questo caso, di editoria di progetto, sul modello offerto da La Voce di Prezzolini e La Critica di Benedetto Croce), e non può prescindere dal bisogno di giustificare la stessa esistenza come atto creativo di individui liberi che contribuiscono, insieme, con ogni loro azione, al progresso dell’umanità. Gobetti – e questo è uno dei suoi contributi alla missione comune – vuole tradurre a regola d’arte, intende pubblicare buone traduzioni e dare valore alle buone traduzioni attraverso la critica, perché crede che l’editoria abbia un ruolo nella formazione dell’individuo e della nazione, e che non si possa fare un’editoria di qualità senza avere il controllo delle traduzioni. Ritenendo che il tradurre sia un’azione necessaria alla comprensione di opere e autori stranieri, Gobetti assegna alla figura del traduttore un ruolo fondamentale nell’editoria di progetto, nella storia della letteratura e quindi nella storia delle idee.
[Estratto da Gobetti critico delle traduzioni, in Piero Gobetti, Una precoce consapevolezza. Scritti di critica delle traduzioni (1919-1921), a cura di S. Giusti, Modena, Mucchi, 2022, pp. 7-50]