Nel trentacinquesimo capitolo della Grammatica della fantasia possiamo assistere a un comportamento inconsueto per un esperto di letteratura, e tuttavia riconducibile alla tradizione degli studi letterari e all’atteggiamento del lettore professionista. L’autore del saggio, Gianni Rodari, che ha appena trattato l’argomento delle storie «tabù» e dell’importanza, per il bambino, della conquista del controllo delle funzioni corporali, mette sotto gli occhi di chi legge una storia, raccontata da un bambino di cinque anni nella scuola per l’infanzia Diana, di Reggio Emilia, e raccolta dall’insegnante Giulia Notari:
Una volta Pierino giocava con il pongo. Passa un prete e gli domanda: – Cosa fai? – Faccio un prete come te.
Passa un cow-boy e gli domanda: – Cosa fai? – Faccio un cow-boy come te.
Passa un indiano e gli domanda: – Cosa fai? – Faccio un indiano come te.
Poi passa un diavolo che era buono, ma poi diventa cattivo perché Pierino gli tira addosso la cacca, il diavolo piangeva perché era tutto sporco di merda, poi diventa ancora buono.
Dopo aver fornito una prima interpretazione del racconto in chiave blandamente psicanalitica, focalizzando l’attenzione sull’intenzione dell’autore – «l’uso del linguaggio escrementizio in funzione liberatoria», «per esorcizzare qualche senso di colpa connesso con l’apprendimento delle funzioni corporali» – Rodari decide di cimentarsi nell’impresa di darne una spiegazione completa ricorrendo ad alcuni concetti messi a disposizione dalla teoria letteraria. Gli viene in soccorso Jakobson, con la distinzione basilare – già introdotta da Saussure – tra asse delle selezione (paradigmatico) e asse della combinazione (sintagmatico), grazie alla quale è possibile osservare il processo creativo di costruzione del testo, percepito non più come una costruzione lineare ma, secondo la visione semiotica dell’opera letteraria, come un sistema di relazioni tra diversi materiali linguistici. Supponendo che il punto d’origine del racconto sia la parola pongo o, meglio, l’esperienza del gioco del pongo, intorno ad essa si articolano nella storia «gli altri riferimenti all’esperienza del bambino, ai personaggi del suo mondo, a quelli del suo mito»:
Tali elementi ci appaiono combinati per coppie, secondo il «pensare per coppie» illustrato dal Wallon (e anche secondo il nostro principio del «binomio fantastico»). Il «pongo» si oppone alla «cacca», richiamandola per analogie casuali, ma certamente scoperte e sperimentate dal bambino nel gioco: forma, colore, eccetera (chi sa quante volte il bambino, con il pongo, ha fabbricato la «cacca»). Il «cow-boy» è immediatamente opposto e collegato all’«indiano», Il «prete», al «diavolo».
L’analisi del testo si sofferma sulla comparsa del diavolo, che – «con un occhio all’asse della “selezione verbale”», scrive Rodari – potrebbe aver ricevuto una spinta decisiva dalla dia di «indiano»:
Il diavolo stesso, come s’è visto, si sdoppia in «diavolo buono» e «diavolo cattivo». E parallelamente si sdoppia, a livello dell’espressione, anche la «cacca» che è chiamata così la prima volta, ma la seconda volta «merda», in un crescendo dal nome infantile al nome adulto, più «osé», che sta a testimoniare della crescente sicurezza con cui l’immaginazione manipola la sua storia. Cresce, con la libera espressione, la fiducia del bambino in se stesso.
In questo particolare bambino, del resto, non si può escludere che il «crescendo» abbia qualcosa a vedere con una sua disposizione musicale, di cui si potrebbero rintracciare indizi sia nella scelta delle parole che nella strutturazione della storia.
Si noti l’attacco in “p” (o addirittura in… “p maggiore”): «Pierino», «pongo», «passa», «prete». Perché questa predilezione? È la parola «papà» che ogni volta si affaccia e ogni volta è rifiutata? La cosa può avere il suo significato. Ma può anche darsi che sia l’orecchio a insistere in quell’allitterazione, come su un semplicissimo tema musicale: che sia dunque proprio la “p” a far «passare» il «prete» per primo. Insomma, prima il suono, poi il personaggio: come accade talvolta nelle operazioni poetiche (rileggete… mi vedrete travolto dalle “p”…)
Segue una pagina esemplare sulla struttura del testo, organizzato in due parti dal ritmo ternario – «Prima parte 1) il prete 2) il cow-boy 3) l’indiano. Seconda parte 1) il diavolo buono 2) il diavolo cattivo 3) il diavolo buono» – che si conclude con la spiegazione dell’identità tra il pongo e la cacca, due immagini condensate in una una, secondo il principio della condensazione onirica freudiana.
Il capitolo si chiude che una sintesi dell’analisi del testo e con una riflessione sul modo di leggere i testi dei bambini a scuola:
Dall’analisi dovrebbe essere risultato come la storia si è nutrita di apporti di diversa provenienza: le parole, i loro suoni, i loro significati, i loro apparentamenti improvvisi; i ricordi personali; le sortite del profondo; le pressioni della censura. Il tutto si è combinato sul piano dell’espressione in un’operazione che ha procurato al bambino un’intensa soddisfazione. L’immaginazione ne è stata lo strumento, ma tutta la personalità del bambino è stata impegnata nell’atto creativo.
Nel giudicare i testi infantili, purtroppo, la scuola rivolge la sua attenzione prevalentemente al livello ortografico-grammaticale-sintattico, che non tocca nemmeno il livello più propriamente «linguistico», oltre a trascurare il complesso mondo dei contenuti. Il fatto è che a scuola si leggono i testi per giudicarli e classificarli, non per capirli. Il setaccio della «correttezza» trattiene e valorizza i ciottoli, lasciando passare l’oro…
Rodari, dunque, legge il racconto di Pierino e il pongo come se fosse un’opera letteraria, riconoscendo esplicitamente al bambino il ruolo di autore, il cui testo merita di essere letto perché fornisce informazioni sul procedimento artistico e perché consente di risolvere un problema fondamentale per chi deve educare: conoscere il bambino nel suo contesto, in modo da potergli offrire esperienze didattiche che gli consentano di sviluppare la sue potenzialità. Con questo atteggiamento di fondo e con la disposizione all’ascolto del bambino da parte dell’adulto, le tecniche sviluppate dalla teoria della letteratura per l’interpretazione dei fatti linguistici diventano altrettanti strumenti conoscitivi per la comprensione del funzionamento dei comportamenti letterari e della funzione della letteratura negli ambienti di apprendimento.
POST SCRIPTUM Questo brano è tratto da una manuale di didattica della letteratura a cui sto lavorando da tempo e che mi terrà occupato per il resto dell’estate. Ne approfitto per augurarvi buone vacanze!