Questo pomeriggio, insieme al registra Francesco Falaschi e ad alcuni dirigenti dei servizi sociali, mi troverò a un convegno di assistenti sociali a parlare del ruolo della scrittura e, più in generale, della narrazione, nelle professioni socio-sanitarie. Da qualche tempo ho pronto nel cassetto un “manuale di sopravvivenza per assistenti sociali” intitolato Aiutanti di mestiere. Un prontuario per difendersi dagli stereotipi, per esercitare un controllo maggiore sulla percezione sociale del proprio ruolo e, inoltre, per diventare scrittori più consapevoli e responsabili, perché in ambito socio-sanitario la scrittura ha spesso un valore performativo. Scrivere una cartella clinica, una relazione o anche un progetto è sempre un’azione che ha conseguenze pratiche sulla vita di altre persone e, poi, inevitabilmente, su quella di chi scrive.
Wim Wenders ha spiegato questo fenomeno in un suo libro di fotografie e poesie (Una volta, edizioni Socrates, Roma 1993).
“Quello del fotografare è un atto nel tempo,
nel quale qualcosa viene strappato al suo momento
e trasferito in una diversa forma di continuità.
Si pensa sempre
Che ciò che viene strappato al tempo
Si trovi davanti alla macchina fotografica.
Ma non è del tutto vero.
Fotografare è infatti
un atto bidirezionale:
in avanti
e all’indietro.”