Giovedì 16 dicembre alla Sala Galileo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze si terrà un incontro dantesco, il secondo della serie “Questo centesimo anno ancor s’incinqua”. Il mio intervento seguirà le tracce della rodariana Grammatica della fantasia e del motto «Tutti gli usi della parola a tutti» (che, scriveva Rodari, «mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo»). Riproduco di seguito un articolo uscito sul numero 20 della rivista «La ricerca», intitolato, appunto, Tutti gli usi di Dante a tutti.
In un suo straordinario intervento tenuto a Ravenna in occasione del 679° anniversario della morte di Dante, Vittorio Sermonti ha raccontato delle sue letture dantesche tenute nella basilica di San Francesco ad Assisi, di fronte ai traduttori e alle traduttrici delle opere dell’Alighieri nelle diverse lingue del pianeta. «Leggendo Dante in San Francesco, – si legge nel testo delle “Letture classensi” del 2000 – ho maturato un’esperienza quasi palpabile: che quel che leggevo si moltiplicava per il numero di quanti mi ascoltavano, che l’emissione di un messaggio enigmatico e complesso diramava semplicemente in centinaia di ascolti, la “traduzione” che operavo leggendo proliferava in centinaia di “traduzioni”».
Nemico giurato di quelle pre-traduzioni semplificate e normalizzate che si danno a piè di pagina in tanti libri scolastici, Sermonti sostiene l’«inesauribile scandalo linguistico» rappresentato della Commedia, la cui lingua richiedeva già di essere glossata fin dai primi anni della sua circolazione e continua ancora, dopo settecento anni, «a tentarsi e torcersi e sperimentarsi sotto i nostri occhi». Ed è una lingua, insiste l’autore, che «reclama l’esecuzione», che «esige da chi la legge che si metta in gioco, prestandole lo strano strumento della propria voce, l’incognito strumento di sé». Una lingua da far passare per il corpo, dunque, attraverso l’ascolto e, soprattutto, leggendo ad alta voce le terzine, in modo che ciascuno e ciascuna si faccia traduttore e traduttrice di Dante, non importa se con inflessioni dialettali. E qui il tono di Sermonti si fa perentorio: «Fatevi uscire di bocca le terzine di Dante, amici. E se avete un po’ d’accento dialettale, pazienza! (o forse tanto meglio!): Dio sa con che calata le leggeva lui, Dante Alighieri, le sue terzine!».
La Commedia, dunque, come uno spartito da eseguire ad alta voce, prima o dopo averne studiato il significato, accettando i limiti della propria capacità di comprensione e, sempre, mettendosi a disposizione dell’opera, instaurando con lei un rapporto unico e vitale, che non deve servire a imparare qualcosa su Dante e sul Medioevo, bensì ad acquisire un habitus, uno stile di vita che preveda l’ascolto, l’accettazione della propria e altrui diversità linguistica, la sopportazione della frustrazione, il sacrificio del proprio tempo e della propria voce per sé stessi e per gli altri.
Si leggano ancora le conclusioni di Sermonti:
Quella sarà la vera «traduzione» della Commedia nell’italiano d’oggi: cioè nell’italiano di ciascuno di noi. Tutto il resto – parafrasi, chiose, notizie, considerazioni indotte – non sono che appunti per una «traduzione interculturale e interlinguistica». Ma l’atto vero e proprio del «tradurre», l’atto ultimo e inevitabilmente, benedettamene arbitrario del «tradurre», deve farlo ciascuno di noi: leggendo ad alta voce; lasciando che la sua voce lo tradisca, e timidamente sveli, nell’imprevedibile unicità della sua lettura, la vitale unicità del suo rapporto con la poesia di Dante.
Armato di questa stessa consapevolezza, che ho avuto modo di mettere alla prova durante tanti anni di insegnamento nei corsi serali e negli istituti professionali, mi sono messo a cercare quelle pratiche didattiche che favoriscono questo corpo a corpo con la Commedia, possibilmente fin dalla scuola secondaria di primo grado e poi, preferibilmente, negli Istituti professionali e tecnici, laddove la lettura della Commedia non è più da tempo un obbligo di legge, e può finalmente diventare una buona abitudine o, più propriamente, una pratica didattica dalle straordinarie potenzialità cognitive.
Mi sono imbattuto, cercando sul web e rivolgendomi al passaparola dei colleghi e delle colleghe, in attività più o meno strutturate e organizzate, tutte accomunate da un approccio didattico laboratoriale, fondato su tecniche didattiche attive, che si pongono l’obiettivo di far leggere e scrivere in classe ogni studente, favorendo la collaborazione e la partecipazione di tutte e di tutti nel gruppo.
Si tratta di una famiglia di strategie, metodi e tecniche didattiche radicate in Italia almeno dagli anni Cinquanta – grazie al lavoro pionieristico del Movimento di Cooperazione Educativa e, nell’ambito dell’educazione linguistica in particolare, grazie all’opera straordinaria di Bruno Ciari, Mario Lodi e Gianni Rodari –, e che in questi anni stanno riscontrando il grande interesse da parte di docenti di lingua e letteratura italiana intenzionati a prendere sul serio le Indicazioni nazionali per il curricolo del primo ciclo e le Linee guida per gli Istituti tecnici e professionali, le quali prevedono esplicitamente il ricorso a una didattica centrata sulle competenze e alla valutazione educativa.
In particolare, va segnalato il successo della didattica laboratoriale della lettura e della scrittura di origine americana, derivata dal Teachers College Reading and Writing Project della Columbia University, fondato nel 1981 da Lucy Calkins, divenuto un punto di riferimento ineludibile per chi oggi voglia almeno farsi un’idea di come sia possibile sperimentare, in classi di studenti di diverse età, dalla scuola dell’infanzia fino alla secondaria di secondo grado, l’esperienza della lettura e della scrittura così come la conoscono i lettori e le lettrici comuni, che leggono e scrivono per soddisfare i propri bisogni e gestire la propria vita e non per prendere un buon voto o “acquisire un bagaglio culturale”.
In questo contesto si collocano esplicitamente le tecniche e le strategie didattiche sperimentate da Antonietta La Manna e Sabina Minuto, per citare due delle docenti di cui ho potuto visionare almeno il lavoro svolto con gli studenti.
La Manna, insegnante di un Istituto professionale a indirizzo Enogastronomico, ha strutturato un percorso articolato in tre fasi: un laboratorio di lettura e di scrittura finalizzato alla redazione di un testo espositivo su Dante (biografia e catalogo delle opere); selezione, da parte degli studenti, di una serie di personaggi della Commedia e lettura ad alta voce e discussione dei brani che li riguardano; lettura ad alta voce del romanzo La lunga discesa di Jason Reynolds (tradotto da Francesco Gulizia, pubblicato da Rizzoli nel 2019), messo a confronto con l’Inferno dantesco; laboratorio di scrittura su un testo espositivo o un commento dedicato a uno dei personaggi. Il laboratorio di lettura e di scrittura, nel quale il docente dovrebbe svolgere compiti di consulenza e di guida, lasciando che per la maggior parte del tempo gli studenti svolgano le attività previste, richiede la padronanza di molte specifiche tecniche che rappresentano la parte più interessante del Reading and Writing Project.
La Manna ricorre, per esempio, al quickwrite, reso in italiano, quando è tradotto, con l’espressione “lampo di scrittura”: un’attività di scrittura che ha una durata di cinque minuti, durante i quali le/gli studenti devono scrivere senza interrompersi e sospendendo momentaneamente il giudizio, in modo da tirar fuori le idee e, anche, da allenarsi a tenere un ritmo. Ovviamente, perché una tecnica funzioni occorre che il/la docente acquisti una certa expertise nel dare le consegne e nel gestire il gruppo, ma una volta che si è imparato a usarla è possibile replicarla in molte situazioni. In questo caso, grazie al lampo di scrittura, è possibile ottenere molti testi, in cui ogni studente riflette sui passi letti e li commenta liberamente.
La professoressa Margherita Scotto di Perta, docente di un Istituto professionale per i Servizi per l’Agricoltura e lo Sviluppo rurale, anche lei attiva nella progettazione e realizzazione di laboratori di lettura e di scrittura, mi invia la seguente consegna per un lampo di scrittura, che ha sperimentato con successo coi suoi studenti:
Ogni persona può aver avuto un momento in cui ha attraversato “una selva oscura”. Pensa alla tua selva oscura e a come hai fatto ad attraversarla. Poi scrivi per almeno dieci minuti, senza pensare troppo. Scrivi per te, senza badare alla forma. Strofinati le mani e scaldale bene. Prendi una penna che scorra fluidamente sul foglio e il quaderno di italiano o un taccuino che ti piaccia e scrivi di getto. Poi ci confrontiamo in plenaria (tutti insieme) sull’esperienza e condividiamo i nostri scritti, se ci fa piacere.
Sabina Minuto, che con il suo articolo Inchiesta su Dante: la Divina Commedia al professionale (blog “Occhio Volante”, 12 ottobre 2019) ha ispirato il lavoro di La Manna, insegna all’Istituto professionale a indirizzo Manutenzione ed Assistenza Tecnica di Savona e da alcuni anni lavora insieme a un’altra docente, Elisa Golinelli, allo sviluppo di una versione italiana del Writing and Reading Workshop statunitense, scrivendo manuali per docenti e articoli per la versione online della rivista «La ricerca» di Loescher editore. Il suo lavoro dantesco, configurato sotto forma di inchiesta, è gestito attraverso specifiche tecniche e strumenti – ancora i quickwrite, e poi le minilesson, lo schema a Y, la tabella KWL – che dovranno portare alla realizzazione di uno speech da parte di ciascuno/a studente. Scrive Sabina Minuto nel suo articolo:
È un lavoro duro per i miei studenti, a cui spesso difetta non lo studio, ma lo strumento per esprimersi. Lo troveranno piano piano. Intanto oggi, come laboratorio di scrittura, ognuno ha scelto quale, secondo lui, è il peccato più grave, e illustrato perché. Cinque minuti di scrittura veloce ma molto intensa. La falsità impera. Nessuno sopporta il non essere sincero di qualcuno. Il tradimento anche, specie degli amici.
Pur essendo anche lei una docente esperta del Writing and Reading Workshop, la professoressa Linda Cavadini, nel suo articolo intitolato Un anno all’Inferno. Un percorso su Dante e il suo Inferno alla secondaria di primo grado (uscito in due parti sul blog “La letteratura e noi”, 11 e 17 dicembre 2018), è riuscita a illustrare il suo percorso dantesco evitando i tecnicismi e concentrandosi soprattutto sui contenuti usati, sulle tipologie di attività (anche in questo caso ha avuto un ruolo fondamentale il lavoro di indagine) e sull’approccio teorico di fondo, illustrato con parole che rinviano al magistero di Ezio Raimondi e, anche, alla lezione dell’ultimo Todorov:
Voglio che leggano un’opera letteraria come lettori e come scrittori; che si sforzino di conoscerla e di farsi interrogare da essa, lavorandoci sopra, interpretandola in modo personale, ma rigoroso. Uno degli obiettivi è provare a fare ipotesi e a dimostrarle: abbiamo il lusso del tempo, del poter smontare e rimontare un’opera, la fortuna della prima volta. Come quando si entra in una cattedrale affrescata e si sta con lo sguardo all’insù: le immagini ci parlano, la guida le spiega, comprendiamo a un primo livello; ci sarà tempo in futuro per capire tecniche, repertorio e sostrato culturale. Voglio che i ragazzi si avvicinino all’opera letteraria come lettori, non come critici e filologi. Poi lo diventeranno, al triennio delle superiori e, si spera, all’università. Perché si può essere lettori senza essere critici, ma non si può essere critici senza essere lettori.
E a una lezione analoga sembra rifarsi la professoressa Valentina Torrisi, insegnante di lingua spagnola in un liceo linguistico, esperta di didattica laboratoriale: con i suoi studenti realizza il blog “Nuestra Literatura”, che quest’anno, in occasione del centenario, sta dedicando uno spazio particolare a Dante. A partire da un articolo della docente, che si apre con la traduzione spagnola delle prime terzine dell’Inferno, ogni studente è sollecitato a inventare un proprio “Inferno letterario spagnolo”:
Si Dante hubiera viajado por un Infierno literario español, ¿qué es lo que habría escrito? Inventa una historia en la que describes el viaje de Dante y Virgilio por un Infierno español. En este infierno Dante y Virgilio encontrarán escritores españoles, personajes históricos, personajes literarios relacionados con la literatura española que has estudiado en estos dos años. ¿Cómo sería este Infierno? ¿En cuáles círculos se encontrarían estos personajes? ¿Qué tipo de castigo por contrapaso tendrían?
Infine, il progetto dante_social, un esperimento di didattica dantesca attraverso Instagram presentato sul magazine “Lingua italiana” di treccani.it da Paolo Cerutti, Dario Giolito, Margherita Martinengo e Giuseppe Noto (19 ottobre 2020), oltre a rappresentare un altro esempio di didattica laboratoriale basata sul Task Based Learning, viene a ricordarci il ruolo fondamentale giocato in tutte queste pratiche dalle immagini e dalla relazione virtuosa tra immagini e testo.
Si legge su treccani.it:
I partecipanti sono chiamati a lavorare a stretto contatto con il testo dantesco per produrne una transcodifica attraverso i post e le stories del social network. Per lo svolgimento del progetto la classe viene divisa in gruppi; a ogni gruppo è assegnato un canto sulla base del quale portare a termine due consegne: la realizzazione di tre ‘blocchi’ di stories ispirati a terzine particolarmente significative individuate nel testo e la creazione di un’immagine e di una descrizione rappresentativi del canto in generale, da pubblicare poi come post. Successivamente alla pubblicazione sulla pagina dante_social dei contenuti prodotti dai ragazzi sono previsti dei momenti di discussione tra la classe in videochiamata: un ritorno al testo, necessario per giustificare e puntualizzare le scelte creative messe in atto nelle rielaborazioni social della Commedia.
I risultati, visibili sul profilo Instagram dante_social, mostrano le potenzialità creative dell’accostamento di testo e immagine e, soprattutto, offrono una sintesi efficace di cosa può succedere quando – grazie alla padronanza della didattica e dei suoi strumenti – si creano le condizioni affinché i ragazzi e le ragazze possano davvero incontrare l’opera e le parole di Dante.
E non è ancora, forse, quella traduzione auspicata da Sermonti, ma è l’inizio di una relazione che non sia fondata sul timore reverenziale e sul principio di autorità, o, peggio, sull’idea che sia possibile aggirare il testo della Commedia, studiando Dante senza entrare in contatto con la sua lingua.