È davvero possibile uscire dall’impasse della didattica trasmissiva e di una visione depositaria e patrimoniale della cultura letteraria? Guido Armellini nel suo libro La letteratura in classe (2008) propone una visione dialogica e negoziale dell’insegnamento che, applicata alla didattica della letteratura, ha conseguenze importanti sull’idea stessa di letteratura, che viene rimessa radicalmente in discussione.
Le stesse opere letterarie, riconosce Armellini, messe a contatto con un pubblico nuovo, «possono caricarsi di significati inattesi, non registrati dalla storiografia letteraria e alle antologie della critica», possono cioè essere modificate dalle attibuzioni di significato operate da chi legge, dando vita a un dialogo “bidirezionale” che può essere accostato al concetto di “transazione” di Louise Rosenblatt, la teorica della letteratura statunitense che, in aperta opposizione al New Criticism e alle pratiche didattiche basate sul close reading, ha illustrato il duplice effetto trasformativo della lettura estetica, che agisce sul soggetto e sul testo stesso, il cui significato è per sua natura negoziale.
A questa concezione dialogica e intersoggettiva dell’educazione letteraria – che è in linea con le idee propugnate da Franco Brioschi già alla fine degli anni Settanta, e che molto deve anche al costruttivismo e alle teorie di Maturana e Varela, Bateson, Morin e Watzlawick –, sono necessarie pratiche didattiche di tipo attivo, laboratoriale, basate sull’esperienza estetica e sulla condivisione delle interpretazioni, e, soprattutto, pratiche valutative radicalmente diverse da quelle vigenti, che devono tenere conto della complessità dei comportamenti umani e del ruolo profondamente educativo e formativo della valutazione.
Ho affrontato questi argomenti in una recensione al libro di Armellini intitolato La letteratura in classe – L’educazione letteraria e il mestiere di insegnante, Milano, Unicopli, 2008. È il sesto di una rassegna di dieci libri italiani di didattica in uscita sulla rivista «La ricerca».